Un libro per immergersi nella Shanghai della prima metà del Novecento e rivivere gli anni del massimo splendore e del declino post-bellico
Shanghai è la città dove è nata nel 1940. È la città che si è lasciata alle spalle nel 1953, quando a tredici anni è salita su una nave diretta in Italia. Ed è la città dove è ritornata, ormai adulta, sulle tracce della sua infanzia e alla ricerca delle sue origini.
Per Bamboo Hirst, quindi, Shanghai è un luogo fondamentale e non può che essere protagonista e cornice della maggior parte dei suoi libri.
Vado a Shanghai per comprarmi un cappello (Piemme, 2008) è uno di questi. Il titolo, ispirato a una celebre frase pronunciata da Marlene Dietrich nel film Shanghai Express, potrebbe trarre in inganno e far pensare che si tratti di un romanzo. Ma in realtà è un saggio che ricostruisce in maniera dettagliata la storia di Shanghai dagli anni Venti agli anni Quaranta del secolo scorso, raccontando gli anni del suo massimo splendore fino ad arrivare a quelli del suo declino seguito alla Seconda Guerra Mondiale.
Bamboo Hirst ci mostra le mille facce della città cosmopolita, crocevia di vite e storie profondamente diverse le une dalle altre. Tra le sue strade si incrociano cinesi e stranieri, ricchi e poveri, potenti e derelitti, intellettuali e signori della guerra, delinquenti e perseguitati, spie e star del cinema. Vi si trovavano missioni e fumerie d’oppio, hotel di lusso e case da gioco.
Bamboo Hirst accompagna il lettore a conoscere i luoghi simbolo della Shanghai di quel tempo e i protagonisti che li animavano. Leggendo le sue parole, pagina dopo pagina, ci si immerge nelle atmosfere di allora, sembra di sentire i rumori e le voci che risuonavano nella città, si scoprono mode e abitudini.
Prima di tutto Bamboo Hirst riassume brevemente la storia della città, ci porta nelle Concessioni e nella città cinese, nel Bund e nei club e alberghi più esclusivi, ci spiega chi sono gli Shanghailander e gli Shanghainese.
Poi passa in rassegna le personalità che si incrociavano per le strade di Shanghai nei suoi anni d’oro. Dai diplomatici stranieri alle star hollywoodiane, fino ai missionari e ai rivoluzionari, passando per letterati, giornalisti, politici e criminali.
Bamboo Hirst ricostruisce il loro legame con Shanghai e i rapporti che li legavano gli uni agli altri, ricomponendo pezzo dopo pezzo un puzzle sociale, politico ed economico che mostra il vero volto della città, con tutte le sue peculiarità e contraddizioni.
Ma la guerra cancella quello splendore e quella vitalità che avevano caratterizzato la città per decenni, rendendola un polo di attrazione a livello internazionale:
Con l’occupazione giapponese, prima, e la Rivoluzione comunista, poi, Shanghai – la grande città europea, incastonata nella Cina millenaria come un corpo estraneo e inassimilabile – non era ormai che il relitto di un immenso naufragio.
Vado a Shanghai per comprarmi un cappello è, per dirla con le parole della sua autrice un «libro-mosaico», una «passeggiata nel tempo e nel mito». Un mito che «non tornerà mai più». Ma che è importante scoprire e non dimenticare.