Nel catalogo della casa editrice Adelphi si trovano interessanti titoli dedicati alla Cina. Romanzi, saggi e biografie per approfondire la conoscenza del Paese di mezzo. Eccoli nel dettaglio
Indice
LESLIE T. CHANG
Operaie (traduzione Mariagrazie Gini, 2010)
Che cos’è Dongguan? Una città, verrebbe da rispondere, se il termine non si applicasse solo per difetto a un enorme agglomerato di fabbriche, collegate da una rete di tangenziali che non contemplano il passaggio, o anche solo la presenza, di pedoni. Ma perché a Dongguan arrivano ogni giorno, dalle sterminate campagne di tutto il Paese, migliaia di ragazze? Qui la risposta è più semplice: intanto perché le loro braccia sono le più ambite nel mercato del lavoro cinese e poi perché una ragazza, in un posto come Dongguan, può realizzare il suo sogno, l’unico apparentemente concesso, in Cina, oggi: fare carriera. Certo le condizioni di partenza sono durissime: turni massacranti, paghe minime, il tempo libero reinvestito nell’apprendimento coattivo di quei rudimenti di inglese senza il quale una carriera non può avere inizio. Ma le ragazze di Dongguan – e in particolare quelle che Leslie T. Chang, in questo suo magnifico e appassionante reportage, ha seguito per anni, un giorno dopo l’altro – sono disposte ad accettare tutto: un nomadismo incessante; relazioni personali fuggevoli, ma irrinunciabili, anche solo per le informazioni che ne possono derivare; e una vita interamente costruita intorno al possesso di un unico bene primario, il cellulare.
DAI SIJIE
Balzac e la piccola sarta cinese (traduzione di Ena Marchi, 2001)
Questo romanzo è ambientato durante la Rivoluzione culturale. Racconta di come la lettura, grazie alla segreta malia di una misteriosa, preziosissima valigia di libri occidentali proibiti, riesca a sottrarre due ragazzi, colpevoli soltanto di essere figli di «sporchi borghesi», a svariate torture e permetta anche a uno di loro di conquistare la «Piccola Sarta cinese». Così, pur vivendo in mezzo agli orrori della «rieducazione», i due ragazzi e la Piccola Sarta scopriranno grazie a Balzac, Dumas, Flaubert e Kipling, che esiste un mondo fatto di pura, avventurosa bellezza. Attraversando, nel frattempo, loro stessi rocambolesche avventure: come quando, per vincere la diffidenza del capo del villaggio dinanzi a un oggetto ignoto – un violino –, il giovane Luo annuncia agli astanti sbigottiti che ascolteranno una sonata dal titolo Mozart pensa al presidente Mao.
Muo e la vergine cinese (traduzione Angelo Bray e Marina Di Leo, 2004)
Qual è il maggiore contributo che la Francia abbia dato alla civiltà? Muo, giovane cinese che a Parigi studia da psicoanalista, non ha dubbi: l’ideale cavalleresco. E come in un’eroica chanson de geste torna in patria per salvare la dama dei suoi sogni dal pericolo che la minaccia. Vulcano della Vecchia Luna, la bella compagna di scuola che di lui, miope e bruttino, non ne ha mai voluto sapere, è stata infatti arrestata per aver venduto foto proibite a un giornale straniero e rischia una pesante condanna. Risoluto a compiere la sua missione, Muo viene trascinato in una ridda di avventure comiche e stralunate, da ognuna delle quali, come in un cartone animato, si rialza un po’ acciaccato ma pronto a rimettersi in cammino e ad affrontare, impavido e cocciuto, ogni sorta di prove. Alle sue gesta non fanno da sfondo reami fatati, bensì la Cina di oggi: una Cina al tempo stesso ultramoderna e arcaica, efficiente e corrotta, scalcagnata e inesorabile, nella quale Muo rischia di smarrirsi come in uno di quei sogni dei quali ha ormai capito di non possedere la chiave.
Una notte in cui la luna non è sorta (traduzione Martina Mazzacurati, 2008)
All’inizio c’è un frammento di manoscritto: una «reliquia mutilata», un «brandello di testo sacro» redatto, in una lingua sconosciuta, su un rotolo di seta risalente al II o III secolo d.C. Il rotolo fu probabilmente all’origine del misterioso assassinio di An Shigao, grande traduttore e poeta. Quasi mille anni dopo, l’imperatore Huizong, vissuto fra l’XI e il XII secolo, cercò invano di decifrarlo, dedicandovi «tutta la sua erudizione», finché, all’inizio del Novecento, l’ultimo imperatore della Cina, Puyi, ne fu ossessionato al punto da uscire di senno e durante il volo che lo portava in Giappone lo lacerò con i denti e ne gettò una parte dall’aereo. Quasi fosse un dono del cielo, il frammento cadde nelle mani di Zai Lan, il legittimo erede al trono esiliato in Manciuria dalla crudele imperatrice Cixi. La nipote di Zai Lan sposerà un sinologo francese, che brama di entrare in possesso del famoso rotolo, e da lui avrà un figlio, che a sua volta si innamorerà di una giovane sinologa francese, la quale rimarrà anche lei fatalmente impigliata nel groviglio di vicende che hanno al centro l’enigmatico frammento.
MARCEL GRANET
L’alleanza, sempre da rinnovare, fra società e natura, fra Yin e Yang, principio femminile e principio maschile, il ritmo delle stagioni, il potere evocatore della festa, dei luoghi santi e delle parole: tutti questi temi, su cui si è fondata, attraverso innumerevoli variazioni e mascheramenti, l’evoluzione della Cina, vengono qui ricondotti al momento più remoto di cui ci rimanga testimonianza scritta, quando ragazzi e ragazze si scambiavano ritualmente le parole di certe canzoni d’amore, semplicissime e misteriose.
«Tutte le dinastie iniziano con un sacrificio», scrive Granet in un passo cruciale di questo libro, dove fa rivivere la struttura sociale, la mitologia, la religione della Cina arcaica. Guidandoci attraverso un mondo popolato di animali fantastici e scandito da feste primaverili, offerte al fiume, danze sciamaniche che propiziano il contatto con gli antenati, Granet ci schiude il mito di Yu il Grande, fondatore della dinastia Xia (III millennio a.C.), e per restituirne l’epopea ricorre a ogni genere di fonti: canti, proverbi, leggende, ma anche esili tracce celate nel canone della letteratura classica. Questo libro non è una esposizione analitica, ma una messa in scena delle primordiali immagini del mondo cinese.
RENÉ GROUSSET
Il Conquistatore del mondo (traduzione Elena Sacchini, 2011)
René Grousset ricostruisce la storia di Temüjin, meglio noto come Gengis Khan, risalendo alle sue remote origini mitiche – l’accoppiamento tra il Lupo Grigio-blu e la Cerbiatta Selvatica, capostipiti di quella che diventerà la «razza di ferro» dei Mongoli. Grousset racconta le vicende dell’avo di Temüjin, Qutula, del padre, Yisügei il Coraggioso, già in lotta con quella corte cinese che tratta i nemici con crudeltà esemplare, impalandoli su asini di legno, la nascita e la crescita di un bambino dagli «occhi di fuoco», «il viso acceso da un bagliore misterioso», che non esita a sbarazzarsi del giovane fratellastro prima di unirsi alla bellissima Börte, «consigliera avvertita e autorevole». Prosegue poi con la lunga teoria di scontri vittoriosi contro i Merkit e i principi mongoli avversari, fino alla conquista dell’egemonia indiscussa attraverso la «battaglia nella tempesta» e quella dei «Settanta mantelli di feltro», arrivando infine all’espansione di un regno quasi senza limiti, che lambiva il palazzo imperiale di Pechino e la Via della Seta. Non meno folto di episodi, l’epilogo della vita di Gengis Khan corrobora i tratti di una personalità insieme monolitica e contraddittoria, che unisce ferocia e saggezza, alta diplomazia e brutalità, amoralismo e improvvise accensioni sentimentali.
RENÉ GUÉNON
La Grande Triade (traduzione di Francesco Zambon, 1980)
«Il Cielo copre, la Terra sostiene» dice un’antica sentenza cinese. Il cielo è la «perfezione attiva», la terra è la «perfezione passiva». «Cielo, Terra, Uomo», ecco la Grande Triade che Guénon volle illuminare in questo suo ultimo libro, pubblicato nel 1946. Invece di affermare in termini generali la corrispondenza esoterica delle tradizioni, volle qui far vedere in concreto che cosa è tale corrispondenza e in quali modi essa si articola, mostrandone ogni volta un aspetto, come la faccia di un cristallo, nei brevi, magistrali capitoli di quest’opera, che appunto perciò può essere vista come la summa e il simbolo essa stessa del pensiero di Guénon. Tanto più stupefacente apparirà l’impresa che Guénon ha qui compiuto: pur facendo presagire ogni volta tutta la complessità e peculiarità di queste immagini, le ha fatte risuonare nella loro essenza, le ha rese trasparenti con poche, sobrie e decisive parole, così inanellandole in un’aurea catena, dove il vincolo è invisibile e indissolubile.
Scritti sull’esoterismo islamico e il Taoismo (traduzione di Lorenzo Pellizzi, 1993)
Nell’ultima parte della sua vita René Guénon si ritirò al Cairo, come convertito all’Islam. Quanto egli ha scritto su questa tradizione assume perciò nella sua opera un significato peculiare. E tanto più quanto ha scritto sul Sufismo, che per Guénon non è certo una setta accanto ad altre, ma il cuore esoterico dell’Islam. Del tutto opposta nel modo di manifestarsi, ma orientata verso le stesse verità iniziatiche, la tradizione cinese, di cui qui si esamina la polarità Taoismo-Confucianesimo. Un importante testo intitolato Creazione e manifestazione tocca poi un punto estremamente delicato e complesso nella dottrina delle Religioni del Libro (Giudaismo, Cristianesimo, Islamismo): in che senso l’idea di creazione appartiene in modo specifico al loro ambito, e qual è il significato della «creazione dal nulla»? Densi e trasparenti, questi testi, redatti fra gli anni Trenta e la morte dell’autore ma raccolti in volume solo nel 1973, ci permettono di accedere ad alcune elaborazioni fra le meno conosciute e le più significative di Guénon.
HENRI MASPERO
Il Soffio vivo (traduzione di Carlo Laurenti, 1985)
Eccentrici anche in questo, i Taoisti della Cina antica non miravano soltanto a una modesta immortalità dell’anima, ma intendevano la salvezza come Vita Eterna, in quanto «immortalità materiale del corpo stesso». Tanti, infatti, erano per loro gli spiriti, le anime e i soffi, che soltanto l’unità del corpo permetteva di farli convivere senza troppa confusione. Ma, per giungere a tale risultato, occorre un lungo lavoro alchemico, durante il quale «il corpo immortale si costruisce misteriosamente all’interno del corpo mortale». Le ossa diventano oro e la carne giada: «tra vita mortale e vita immortale non esiste frattura, ma un impercettibile passaggio dall’una all’altra». Questa fisiologia mistica è una delle parti più affascinanti e segrete del Taoismo – e si può dire che Maspero sia stato il primo studioso occidentale a far breccia, con questo saggio del 1937, negli arcani Campi di Cinabro (come veniva definito, in cifra, il corpo umano). Usando un linguaggio mirabilmente immaginoso, i sapienti taoisti erano arrivati a una conoscenza sottile delle forze vitali che ci lascia sbalorditi. Il reciproco sopraffarsi, paralizzarsi o rinvigorirsi dello yin e dello yang, del principio femminile e di quello maschile, è osservato con acutezza tale da delineare, fra l’altro, una dottrina della vita erotica rispetto alla quale ogni equivalente occidentale appare quanto mai goffo.
JONATHAN D. SPENCE
Imperatore della Cina. Autoritratto di K’ang-hsi (traduzione di Silvia Gariglio, 1986)
Kangxi fu Imperatore della Cina fra il 1661 e il 1722. «Quasi tutti i dettagli della sua vita mettevano in rilievo la sua unicità e la sua superiorità sui comuni mortali: egli solo si volgeva a sud, mentre i suoi ministri si volgevano a nord; egli solo scriveva in rosso, mentre loro scrivevano in nero … e perfino la parola che egli usava per dire “io”, chen, non poteva essere usata da nessun altro». Eppure, la sublime grandezza del Figlio del Cielo fu minacciata, durante il suo lungo regno, da tutte le insidie della vita. E dovette affrontare anche mirabili sorprese: come il contatto con i Gesuiti, che portavano notizie e prodigi da un mondo del tutto sconosciuto. Curioso e avido di conoscenze, Kangxi soppesò quelle novità, in parte le accettò, in parte le rifiutò. La sorte lo aveva posto al punto d’incontro fra i due più grandiosi ed efficaci sistemi che la storia abbia conosciuto. Verso la fine della sua vita, toccato dalla malattia, promulgò il suo Editto di Commiato, uno dei rari testi scritti da un Potente che non si possono leggere senza commozione: una confessione cerimoniale, lucida e ferma, venata di una somma tristezza. Devoto della perfezione e della cura incessante del particolare, ebbe la sventura di trovare il proprio maggior nemico in uno dei suoi cinquantasei figli, l’unico nato da un’Imperatrice e perciò allevato come Erede Legittimo. Jonathan Spence lascia parlare l’Imperatore con le sue stesse parole, componendole in un tessuto dove non si avvertono le cuciture.
L’enigma di Hu (traduzione di Mara Caira, 1992)
Questo libro racconta la storia del primo cinese che si trovò a conoscere l’Occidente. Hu era un vedovo quarantenne di Canton, scelto per accompagnare il gesuita Foucquet nel suo viaggio di ritorno in Europa, nel 1722. Lo incontriamo a Parigi mentre predica in cinese ai passanti esterrefatti, accompagnandosi con un piccolo tamburo. Poi lo ritroviamo nel manicomio di Charenton. E infine assistiamo al suo ritorno in Cina, dopo esilaranti e strazianti vicissitudini. Per un curioso caso, sono sopravvissute testimonianze dirette della sua storia. E su di esse si basa Spence, che non ha voluto offrirci uno studio dei fatti, ma una narrazione in forma di diario. Giorno per giorno, e quasi ora per ora, vediamo svolgersi sotto i nostri occhi una sequenza sconcertante di avvenimenti.
La morte della donna Wang (traduzione di Giovanni Ferrara degli Uberti, 2002)
Dove poté mai fuggire la donna di nome Wang, rea di adulterio, prima di venire assassinata dal marito? Sicuramente lungo strade infestate da briganti, battute da mercanti di tè, monaci taoisti, cantastorie itineranti. E sicuramente lontano dalla legislazione labirintica e spietata che, nella Cina del Seicento, stringeva la donna in una morsa. È in questo oscuro territorio, fra burocrazia e rituale, che Spence attira il lettore, e più precisamente nella contea di T’an-ch’eng, nel breve arco di tempo che va dal 1668 al 1672. Ripercorrendo vicende rimaste impigliate in opache compilazioni di storia locale o trattati destinati alla formazione dei burocrati e servendosi del contrappunto di uno dei maggiori narratori del tempo, Pu Songling, Spence resuscita miracolosamente una società devastata da cataclismi e carestie, in cui un sistema feudale fondato su un complesso apparato vessatorio deve ogni giorno far fronte a razzie e ribellioni.
Il libro del tradimento (traduzione di Giovanni Ferrara degli Uberti, 2006)
Xi’an, Cina, 28 ottobre 1728: poco prima di mezzogiorno, un palanchino attraversa la lunga via centrale, mentre un uomo vestito curiosamente lo insegue con una corsa affannosa, brandendo in aria una lettera. Alcune guardie lo bloccano e il destinatario, il generale Yue Zhongqi, governatore delle province di Shaanxi e Sichuan, ordina di arrestarlo. Gli basterà leggere poche righe per intuire i contorni di una gigantesca congiura anti-imperiale e dare il via a una caccia all’uomo che si concluderà con la cattura di tutti gli implicati. Sorprendentemente, l’imperatore Yongzheng, della dinastia Manciù, anziché emettere una sentenza capitale, preferirà indurre Zeng e gli altri congiurati a scrivere le loro confessioni e abiure, in modo che i corposi volumi di quelle apostasie rimangano come monito etico-giuridico per il futuro. Il proposito, insieme nobile e machiavellico, sarà tuttavia vanificato dall’erede di Yongzheng, il più brutale Qianlong, che farà giustiziare «per mutilazione progressiva» i cospiratori e i loro parenti e ordinerà la distruzione dei volumi. E solo grazie alla temeraria disubbidienza di un cortigiano alcune copie giungeranno sino a noi.
Il palazzo della memoria di Matteo Ricci (traduzione di Flavia Pesetti, 2010)
Matteo Ricci fu l’uomo che con maggiore determinazione ed efficacia tentò di far comunicare due grandi civiltà – quella europea e quella cinese – che per secoli si erano ritenute autosufficienti. Gesuita, patì in Cina traversie di ogni genere ma riuscì a offrire dell’Europa e della cristianità un profilo che si impresse profondamente nell’immaginario cinese e divenne anzi un tramite obbligatorio verso l’Occidente. Al fine di entrare con sottile precisione in un sistema psichico totalmente alieno, utilizzò anche un’arte antica e segreta dell’Occidente, la mnemotecnica, elaborando un Palazzo della memoria che doveva fissare indelebilmente alcuni punti essenziali della dottrina cristiana. E intorno alle immagini di quel Palazzo Jonathan Spence ha costruito un libro che ci invita a intraprendere un viaggio in compagnia di Matteo Ricci: dall’infanzia a Macerata alla logorante e malsicura esistenza nelle missioni asiatiche tra Cinquecento e Seicento; dalle terrifiche traversate degli oceani agli ardui tentativi di evangelizzazione dell’India; dall’illuminante impatto con la spiritualità orientale ai lunghi anni in una Cina.
ROBERT VAN GULIK
La vita sessuale nell’antica Cina (traduzione di Marco Papi, 1987)
Nel 1949, l’illustre sinologo e diplomatico olandese R.H. van Gulik trovò da un antiquario di Tokyo le matrici xilografiche di un album erotico cinese dell’epoca Ming, dal titolo Variegati ordini di battaglia del Campo fiorito. L’estrema rarità di questo album lo spinse all’idea di pubblicarlo con una prefazione che tratteggiasse la storia dell’arte erotica cinese. Ma ben presto egli si accorse che sul tema non esisteva pressoché alcuno studio attendibile. Quanto alle fonti cinesi, l’estrema pruderie che dominò la Cina durante la dinastia Qing (1644-1912) le aveva in ampia misura fatte scomparire. Al tempo stesso risultava però che la civiltà cinese, sin dai tempi più remoti, aveva prestato intensa e sottile attenzione a tutti gli aspetti dell’eros. Cominciò allora, per van Gulik, una lunga e appassionante ricerca, il cui risultato è questo libro, pubblicato nel 1961, magistrale evocazione di un’intera civiltà attraverso la vita sessuale, quale possiamo ricostruirla sulla base dei testi, delle teorie e delle raffigurazioni.
SIMON WINCHESTER
L’uomo che amava la Cina (traduzione Adriana Bottini, 2010)
Winchester racconta la vita di Joseph Needham, brillante biochimico a Cambridge, nudista ante litteram, danzatore quasi professionale di balli folklorici dell’antica Inghilterra, comunista, marito esemplare di una biochimica inglese, Dorothy, e amante entusiasta di una biochimica cinese, Lu Guizhen – ciascuna la migliore amica dell’altra. Una vita, quella di Needham, interamente sotto il segno dell’azione e del tumulto, che conosce il suo apice, ma non il suo epilogo, negli anni trascorsi in Cina, con complessi incarichi diplomatici, fra il 1943 e il 1946. Una vita nelle cui pause Needham trovò il modo e l’energia di curare diciotto volumi di un’opera capitale ancora oggi in corso di realizzazione, Scienza e civiltà in Cina, straordinaria enciclopedia di una civiltà millenaria e al tempo stesso appassionante inchiesta sul cosiddetto «problema di Needham»: perché, se la Cina ha inventato quasi tutto (dalla polvere da sparo alla stampa), la scienza moderna si è sviluppata altrove, sulle sponde del Mediterraneo e dell’Atlantico?
WU CH’ENG-EN
Lo Scimmiotto (traduzione di Adriana Motti, 1971)
Uno dei quattro grandi romanzi classici cinesi, Lo Scimmiotto fu scritto dal letterato Wu Ch’êng-ên nel XVI secolo, ma il materiale della storia è un immenso ciclo di leggende che si era accumulato per centinaia di anni intorno al «viaggio verso l’Occidente» – cioè verso l’India – del monaco Hsüan Tsang, poi detto Tripitaka, per raccogliervi scritture sacre buddiste e introdurle in Cina. La vicenda comincia con la nascita di una scimmia da un uovo di pietra: è lo Scimmiotto, che presto sarà eletto Re delle Scimmie. Essere prodigioso e beffardo, dalla inesauribile vitalità, Scimmiotto adopera astuzie e artifici magici per diventare immortale e, poi, per portare lo scompiglio e la guerra nel cosmo, subissando i celesti con le sue sempre eccessive trovate. Infine, nella seconda parte, Scimmiotto, assieme a due altri compagni – Porcellino e Sabbioso, che simboleggiano due potenze dell’essere umano – si riscatterà dalle sue malefatte aiutando Tripitaka nel suo arduo viaggio.
TESTI CINESI
I detti di Confucio (a cura di Simon Leys, Carlo Laurenti, 2006)
Secondo uno fra i primi insegnamenti di Confucio, per pensare in modo giusto occorre innanzitutto procedere alla «rettifica dei nomi». Se le cose non sono nominate con termini appropriati, il pensiero sarà sempre distorto. E le cose non sono mai nominate in modo appropriato. Questo basterà a far intravedere quali enormi conseguenze implica, fin dal suo primo passo, il pensiero di Confucio. E una fra queste conseguenze sarà la terribile difficoltà nel tradurlo – cioè nel trovare, in altra lingua, nomi appropriati per enunciarlo. Tenendo questo ben fisso nella mente, Simon Leys si è accinto a questa nuova traduzione – che si preoccupa innanzitutto di rendersi «invisibile» – determinato ad avvicinare il generico lettore intelligente a questo grande testo senza opprimerlo con il peso di tante interpretazioni svianti che gli si sono accumulate intorno per molteplici motivi, filologici ma molto spesso anche politici, e ad accompagnare chi vi si addentra, momento per momento, con un illuminante apparato di glosse.
Il libro del Signore di Shang (traduzione di Alessandro Passi, 1989)
Il Signore di Shang fu un alto funzionario dello Stato di Qin vissuto nel IV secolo a.C. Nel suo libro volle offrire una risposta teorica e pratica alle violente lotte di quell’epoca in Cina. «Geniale, ambizioso, senza scrupoli, coraggioso», il Signore di Shang propugnò una teoria politica di una spregiudicatezza rispetto alla quale le formulazioni moderne, Machiavelli e Hobbes inclusi, sembrano timide. La totale eliminazione dei freni morali, l’utilizzazione dei letterati come schiavi del potere politico, l’ignoranza come strumento di governo: tutto questo, e altro, è formulato con la massima icasticità dal Signore di Shang. In questa edizione, unica fino a oggi in Occidente, il grande sinologo J.J.L. Duyvendak introduce e commenta queste pagine di abbagliante durezza, che servono a far riflettere, oggi come più di duemila anni fa, sull’essenza del potere.
Zhuang-zi (traduzione di Carlo Laurenti, Christine Leverd, 1992)
«La realtà del fantastico in Zhuang-zi. Non viene mai ridotto a qualcosa di ideale. L’intangibile è la realtà stessa, e non qualcosa dietro di essa … Oggi per noi non esiste lettura che ci tocchi più da vicino di quella degli antichi filosofi cinesi. Tutto l’inessenziale qui cade. Per quanto è possibile, qui ci risparmiamo la deformazione imposta dalla concettualità. La definizione non è fine a se stessa. Si tratta sempre di possibili atteggiamenti verso la vita e non verso concetti».
Tao tê ching. Il Libro della Via e della Virtù (traduzione di Anna Devoto, 1994)
Mai libro ha detto tanto in così poche parole. Nella ammirevole edizione di J.J.L. Duyvendak, il libro fondamentale del taoismo come Dottrina e Pratica della Via (Tao).