Attraverso il suo personaggio simbolo, Qiu Xiaolong sferra un duro atto d’accusa nei confronti del governo cinese e della gestione della pandemia
Finzione e realtà si mescolano sapientemente in Il dossier Wuhan (Marsilio, traduzione di Fabio Zucchella, 2023), la nuova indagine che ha per protagonista Chen Cao, ispettore ideato da Qiu Xiaolong, scrittore cinese che vive stabilmente negli Stati Uniti fin dalla fine degli anni Ottanta.
Come spiega lui stesso nella postfazione al libro, inizialmente ha avuto non poche esitazioni nello scrivere un romanzo ambientato durante la pandemia di Covid-19, in cui accendere i riflettori sulla rigida sorveglianza e la dura repressione messe in atto dal governo cinese e giustificate con la politica zero-Covid. Temeva che la sua scelta venisse letta come un tentativo di trarre profitto dalla situazione. Ma la vastità dei danni collaterali causati dalla politica zero-Covid, le numerose testimonianze raccolte e i dati analizzati, lo hanno spinto a prendere in mano la penna e scrivere questa storia.
Chen Cao, ormai ex ispettore capo della polizia di Shanghai ed ex direttore dell’ufficio per la Riforma del sistema giudiziario in convalescenza, viene inaspettatamente nominato consulente della squadra investigativa incaricata di far luce sulla morte violenta di tre persone legate al prestigioso Ospedale Renji.
La pandemia di coronavirus, partita da Wuhan, si sta diffondendo in modo incontrollato, e anche le strade di Shanghai cominciano a essere attraversate da ambulanze che sfrecciano a sirene spiegate e da addetti dei comitati di quartiere che intimano alla popolazione di rimanere in casa. Se in un primo tempo le autorità hanno tentato di insabbiare i problemi per mantenere la stabilità sociale, con il passare dei giorni e delle settimane hanno colto l’occasione per stringere il cappio della sorveglianza e della repressione. Mentre si dedica alla traduzione in inglese di un dossier sugli effetti della politica zero-Covid del governo, inviatogli da un amico che vive a Wuhan, Chen Cao sente che la realtà in cui vive assomiglia sempre più a quella descritta da George Orwell in 1984, anzi è addirittura peggiore. Lo ripete con insistenza nel corso di tutta la storia.
Chen Cao sa di essere un sorvegliato speciale, ma sente la grande responsabilità di dover risolvere il caso per cui è stato chiamato e soprattutto di far sapere ciò che sta succedendo in Cina, di alzare il velo su quella che è la realtà dietro la politica zero-Covid sbandierata dal governo cinese come l’unica in grado di controllare la diffusione del virus. Persone rinchiuse nelle loro case con le porte inchiodate, ammalati respinti dagli ospedali perché privi dell’esito di un tampone effettuato nelle ventiquattro ore precedenti, donne costrette a partorire senza alcuna assistenza e morte in seguito a emorragie. Le testimonianze drammatiche si moltiplicano e leggerle sapendo che non si tratta di episodi di fantasia ma di fatti vissuti da milioni di persone è terrificante.
Leggere le testimonianze del dossier Wuhan che Chen Cao è impegnato a tradurre riporta immediatamente alla mente i post raccolti in Wuhan. Diari da una città chiusa di Fang Fang (Rizzoli, 2020). Stessi contenuti, stessa censura perpetrata dal governo per impedirne la diffusione.
Grazie al supporto della sua fedele segretaria Jin e ad altri amici fidati, Chen si impegna ad aggirare la censura, deciso a far emergere la verità. Nel farlo non perde il suo amore per la poesia, con citazioni che scandiscono tutto il libro, e il suo apprezzamento per il buon cibo.
Nonostante, quindi, il filo conduttore della vicenda siano le indagini su tre casi di omicidio, ciò su cui Qiu Xiaolong vuole puntare l’attenzione sono i soprusi e le drammatiche conseguenze delle azioni del governo cinese. La critica che sferra è durissima, non usa giri di parole, ma denuncia senza mezzi termini una condizione che lo preoccupa profondamente e che non è disposto a tollerare, mettendo in luce la distanza tra il governo che impone e la popolazione che subisce.